Nelle varie classificazioni di tipologie di alpinisti si sente spesso parlare di “Alpinisti della domenica”; la via Horn alla parete est-nord-est dello Jalovec, non rientra sicuramente nell’elenco delle vie consigliate a quella categoria di alpinisti.
Per fortuna mi ritengo un “Alpinista del mercoledì”, per vari motivi, non per ultimo il fatto che vada in montagna molto spesso in giornate infrasettimanali; quindi decido di programmare una uscita su questa via storica delle Alpi Giulie slovene.
Non nego che la prima intenzione era quella di andarci da solo, come fece Ferdinand Horn il primo agosto del 1909, ma per fortuna, Josef accetta il mio invito e ci andiamo assieme.
La giornata è fresca e le previsioni meteo non sono proprio azzeccate; rimpiangiamo i tempi in cui si arrivava al Tamar in macchina e anche gustare la birra a fine giornata, sapendo di aver il mezzo a due passi, è tutto un altro bere.
Il sentiero diventa presto un ghiaione segnato da varie tracce dirette, più che altro di discesa, rendendo particolarmente faticoso l’avvicinamento alla parete, che sembra più che altro una proiezione su uno sfondo indefinito.
Nonostante il freddo siamo entrambe sudati marci, ma con le mani sull’attacco, quasi a garantire il raggiungimento della parete ed evitare suoi eventuali allontanamenti.
No ! … Le previsioni meteo proprio non c’hanno azzeccato: il cielo è grigio e le cime più alte indossano un cappello grigio a coprire il loro capo.
Conveniamo che in caso di scarsa visibilità è più facile perdersi sulle vie facili che su quelle difficili, anche perchè i pochi punti di riferimento che già dal basso dovrebbero indirizzarci, non sono più visibili.
Questi punti sono dati dalla Kegljiṥče (la grande cengia detritica), dalla piccola e dalla grande caverna, dal camino Horn e dall’arco naturale, quest’ultimi due non distinguibili dal basso.
Al momento, appena sopra alla grande cengia detritica non c’è visibilità, ma comunque decidiamo di andare a vedere, nella speranza di qualche apertura, forte del fatto che fino alla Kegljiṥče ci sono già stato un po’ di anni fa, quando salii la via Comici allo spigolo nord-est.
Ammetto che i ricordi non sono rimasti proprio così freschi e l’orientamento non è apparso proprio così familiare; di fatto raggiungiamo il cengione dopo quattro tiri di corda e le nuvole non si sono assolutamente spostate dalle ghiaie che sorreggono il resto della parete.
Avanziamo per un centinaio di metri in obliquo verso destra, mirando ad un qualcosa che potrebbe rappresentare la parete a balze inframezzata da cenge oblique verso sinistra.
Qualcosa ci dice che ci sono altri frequentatori della parete; qualcuno martella sopra le nostre teste, probabilmente su un percorso diretto fra la Horn e lo spigolo; oltre a martellare scarica sassi, mentre noi valutiamo la possibilità di ritirarci, viste le difficoltà di orientamento.
Non è il posto più tranquillo per prendere questo tipo di decisione, una paretina leggermente concava è il misero riparo dalle scariche che frequentemente interrompono i nostri calcoli.
Un modo per uscire dalla traiettoria è quello di imboccare le cengette oblique che portano verso sinistra e che dovrebbero consentire di raggiungere un evidente camino, che avremmo dovuto scorgere già da sotto.
Una volta raggiunto il camino prendiamo coraggio e dopo un passaggio faticoso giungiamo nei pressi della piccola caverna, alla base della rampa obliqua, immersi nelle nuvole.
Dove la bella rampa liscia si trasforma in diedro, aggiriamo uno spigolo e per mezzo di una cengia arriviamo all’interno di un canale detritico alla base della grande caverna, mentre qualche raggio cerca di trovare spazio fra le nuvole e sembra anche potercela fare.
Cerchiamo il “camino Horn”, ma avanti a noi c’è solamente un evidente diedro segnato da una fila di chiodi, i primi due collegati da un cordino blu penzolante.
Quel diedro è il “camino Horn” !
Non c’è dubbio che si debba passare da lì, ma a vista le difficoltà non sono quelle dichiarate dalla relazione che abbiamo con noi; oltre alla “Busca” abbiamo uno schizzo piuttosto stringato, che effettivamente in quel tratto riporta la dicitura “A0”.
Più volte fin qui ho pensato come sarebbe potuta andare la salita in solitaria e mentre affronto il “camino Horn” mi rendo conto della bellezza di avere sotto qualcuno che mi assicura.
I primi metri non mi sembrano adatti a provare movimenti e sequenze, senza esitazioni accetto l’agevolazione blu penzolante ed in breve entro nel diedro; è pacifico che questo primo tratto abbia subito delle modifiche dal 1909 ad oggi, evidenziato da un’ampia chiazza giallastra, segno inequivocabile di distacco roccioso.
Il pezzo sopra è sicuramente originale e anche piuttosto tecnico ed indirizza ad un successivo strapiombo repulsivo che si evita per mezzo di una cengia esposta verso destra, rientrando in alto nella direttiva del diedro.
Segue un canale detritico che si insinua verso destra, dove improvvisamente appare il magnifico arco naturale dove ci viene incontro un fascio di luce che indirizza verso l’uscita dalla parete; una enorme porta di uscita che Horn avrà scoperto solamente in quel momento, la ciliegina sulla torta di un percorso di una logicità disarmante, che permette il superamento della parete con difficoltà medio-basse, cosa che da sotto appare piuttosto improbabile.
Si esce sul tetto dello Jalovec, un piano inclinato a balze che faticosamente, su basse difficoltà, si segue cercando i punti più vulnerabili fino a raggiungere la cima.
Quando salii la Kugy-Horn allo Jôf di Montasio, pensai alla genialità ed alla capacità di Horn nel risolvere da solo il collegamento che Kugy cercava fra le cenge del Walhalla e la Grande Cengia; ora non posso che avere la conferma di quanto forte fosse questo alpinista solitario dei primi anni del 1900.
Note: per la parte est-nord-est (via Horn);
(Ferdinand Horn 1 agosto 1909)
Dislivello: 400 m;
Difficoltà: III, IV, pass. IV+, un tratto di A0;